Il grande dipinto fu eseguito da Goya fra il 1783 e il 1784; il pittore iniziò il lavoro nel palazzo de La Mosquera di Arenas de San Pedro, a sud-ovest di Madrid, nella provincia di Avila, dimora dell′infante Luis de Borbón, il più giovane dei fratelli del re di Spagna Carlos III. Passato in eredità a María Teresa, la figlia dell′infante, contessa di Chinchón, che nel 1797 sposò il ministro Manuel Godoy, fu trasferito, intorno al 1820, nel Palazzo di Boadilla del Monte, nei pressi della capitale. Fu poi ereditato da Carlota Luisa de Godoy y Borbón, unica figlia della contessa di Chinchón, che sposò nel 1821 il principe romano Camillo Ruspoli e morì a 86 anni nel 1886. Ricordata nell’Inventario de todos los cuadros, pinturas, marcos sueltos y estampas que quedan colocados en el Palacio de Boadilla…, del 27 maggio 1832, e nel successivo, redatto verso il 1850, risulta ancora nell’inventario del 1886, alla morte di Carlota Luisa. Passata agli eredi Ruspoli, fu trasferita nel giugno 1904 nel palazzo di famiglia a Firenze. Venne acquistata da Luigi Magnani nel 1974. In Spagna esiste una copia d’epoca di questo dipinto, presso i duchi di Sueca.
Si tratta della più importante testimonianza pittorica della prima maturità di Goya e sancisce la sua ammissione nell′alta società spagnola; il pittore ufficialmente fu introdotto alla corte di don Luis del primo ministro da José Moñino y Redondo, conte di Floridablanca, che da poco aveva effigiato.
Il ritratto di gruppo non era un genere particolarmente diffuso in Spagna, al di là di Las Meninas di Velázquez; si può quindi affermare che Goya debba aver visto e studiato esempi contemporanei soltanto in occasione del viaggio in Italia fra il 1770 e il 1771, Batoni e Benefial a Roma, Alessandro Longhi e Giandomenico Tiepolo a Venezia, Baldrighi a Parma. La famiglia dell′infante don Luis è un′opera rivoluzionaria, un vero e proprio monumento allo status dell′uomo moderno, l′accesso a un mondo di realtà ambigue, di sentimenti mutevoli e di relazioni indecifrabili tra i personaggi; con Goya l′arte, anziché offrire significati palesi, richiama l′attenzione sulle domande senza risposta, sugli enigmi insolubili del suo tempo e dei secoli seguenti.
Don Luis Antonio Jaime de Borbón y Farnesio (1727-1785), sesto figlio di Felipe V e di Elisabetta Farnese, a otto anni era stato nominato cardinale e arcivescovo di Toledo, arcivescovo di Siviglia pochi anni dopo. Fin dalla prima giovinezza, aveva mostrato carattere passionale e forte inclinazione per una condizione libera. Non esitò così a rinunciare alla porpora nel 1754, all’età di ventisette anni, per dedicarsi alla caccia, al collezionismo di opere d′arte e alle avventure amorose; amava circondarsi di artisti, come Mengs che lo ritrasse nel 1776 e lo consigliò per la formazione della sua galleria privata nel Palazzo Reale di Madrid. Giacomo Casanova, che pure lo frequentò, lo ricordava nei suoi diari come uomo di rara bruttezza (laid à faire peur), dalle passioni confuse fra sacralità e carnalità.
L’infante condusse vita “avventurosa” fino a quando il re gli ordinò di sposarsi, anche per tacitare le chiacchiere scandalistiche che circolavano nelle corti europee. Ma il matrimonio poneva un successivo problema al sovrano in quanto la legge salica spagnola escludeva dalla successione al trono membri della famiglia reale che non fossero nati e non fossero stati educati in Spagna; essendo l′erede di Carlos III nato a Napoli, il re realizzò che avrebbe incontrato ostacoli nel sostenere le aspirazioni al trono del proprio figlio nel caso che don Luis avesse generato un legittimo erede. Per aggirare l′ostacolo, Carlos III indusse l′infante a sposare il 27 giugno 1776, a quasi cinquant′anni, una donna di trentadue anni più giovane di lui, la bellissima María Teresa de Vallabriga y Rozas (1759-1820), nata a Saragozza come Goya, proveniente dalla famiglia dei conti di Torre Secas, piccola nobiltà della provincia aragonese, e promulgò nello stesso anno un apposito editto, la “Pragmática Sanción para evitar el abuso de contraer matrimonios desiguales” che escludeva i figli della coppia dalla successione al trono. In conseguenza don Luis dovette ritirarsi con la moglie nella proprietà di Arenas de San Pedro; questa vita appartata gli consentì di coltivare più liberamente la passione per la pittura e la musica e di intrattenere attorno a sé una piccola corte, senza etichetta, dove invitare gli artisti a lavorare.
All’arrivo di Goya, l’infante don Luis e la sua sorprendentemente giovane famiglia abitavano da poco tempo nel palazzo de La Mosquera, progettato nel 1779 dall’architetto Ventura Rodríguez Tizón (1717-1785), incaricato anni prima della modernizzazione della Basilica di Nostra Signora del Pilar a Saragozza e autore di opere importanti in tutta la Spagna. Il soggiorno di Goya ad Arenas de San Pedro nell’estate 1783 fu dedicato principalmente alla realizzazione di singoli ritratti dei membri della famiglia dell’infante. Una lettera di Goya all’amico Martín Zapater, datata 20 settembre 1783, rivela l’entusiasmo del pittore per questo soggiorno, anche per una probabile affinità caratteriale con don Luis; la lettera, inoltre, fornisce precisi elementi sulla sua attività: “Giungo ora da Arenas, molto stanco. Sua Altezza mi ha coperto di doni, io ho fatto il suo ritratto, quello della moglie, del figlio e della figlia, con un successo insperato perché altri pittori si erano già misurati, senza riuscirci, in questa impresa”. Al ritorno dal suo secondo soggiorno ad Arenas, alla fine dell’estate o all’inizio dell’autunno 1784, Goya scrisse eccitato ancora a Zapater che l’infante lo aveva ben pagato per le due opere dipinte per lui; una doveva essere il ritratto equestre di María Teresa, l’altra La famiglia dell’infante don Luis probabilmente iniziata ad Arenas e terminata nello studio del pittore a Madrid.
Il grande dipinto miscela cerimoniale e informalità nel rappresentare un momento in cui l’infante, i bambini e i più importanti membri dell’entourage di corte, assistono all’acconciatura dei capelli di María Teresa, probabilmente prima di posare per un ritratto di Goya stesso che, non a caso, dall’angolo sinistro del quadro, con tavolozza, pennelli e bastone da pittore, guarda direttamente verso di lei.
La scena si svolge in una stanza in penombra, dove una pesante tenda verde diventa un sipario su quello che sembra un portale, di cui si vede appena il pilastro sinistro. La decisa diagonale creata dalle figure sulla destra e sulla sinistra ed evocata dalla tenda retrostante focalizza lo sguardo verso il centro, dove María Teresa, che indossa una sontuosa e radiosa vesta bianca, ci guarda affabilmente. I suoi capelli stanno per essere pettinati prima di indossare un’elaborata cuffia da camera tenuta pronta da una delle cameriere su un vassoio d’argento; l’altra cameriera regge una scatola pure d’argento, che probabilmente contiene cipria per la sua chioma. Alla destra di María Teresa si trova l’infante – all’età di 56 anni appare con i capelli radi, la pelle rugosa, il naso rosso, forse per via del tabacco da fiuto (un fazzoletto pure rosso gli spunta dalla tasca) – mentre dà le carte sulla coperta di velluto verde di un tavolo da gioco curiosamente sagomato su cui spicca un candeliere d’argento con una candela accesa. Alla sinistra dell’infante, come lui raffigurato di profilo, è il piccolo Luis María (1777-1823), vestito di azzurro con la sua chioma bionda raccolta in una coda di cavallo. Il delizioso contrasto fra il bambino e il vecchio è forse intenzionale per sottolineare il ruolo del piccolo di erede dell’infante; i due profili, che rievocano quelli degli imperatori sulle monete romane, possono essere interpretati come allusione all’ingiusta situazione patita dall’infante, e al fatto che suo figlio non avrebbe potuto ereditare i suoi beni e il suo titolo. Accanto a Luis María, la sua sorellina María Teresa (1780-1828) rivolge lo sguardo con curiosità infantile verso Goya che si appresta a dipingere la sua tela.
Vari tentativi sono stati fatti per identificare gli altri personaggi. Non esiste una descrizione contemporanea del quadro, ma fonti documentarie come i libri paga del palazzo includono liste degli impiegati alla corte dell’infante e aiutano a identificare alcuni dei personaggi non riconoscibili grazie al confronto con altri ritratti. Fra i 550 membri dello staff, possiamo partire dal presupposto che i più importanti e più vicini all’infante siano stati scelti per essere inclusi nel ritratto. Le due donne sulla sinistra sono probabilmente le cameriere personali di María Teresa, Antonia Vanderbrocht e Petronila Valdearenas; il parrucchiere che lavorava a corte negli anni ottanta si chiamava Santos Garcia; sul lato opposto, la governante Isidra Fuentes y Michel, tiene in braccio la terza figlia della coppia, María Luisa (1783-1846), futura duchessa di San Fernando de Quiroga, che qui dimostra circa un anno.
L’identificazione dei quattro personaggi rimanenti sulla destra è meno agevole. L’uomo rubicondo alla destra della governante potrebbe essere il segretario di don Luis, Manuel Moreno. Elegantemente vestito, dall’aspetto aristocratico, l’uomo accanto a lui è spesso stato identificato col compositore Luigi Boccherini, allora quarantenne, violoncellista e compositore di Camera di don Luis dal 1770 al 1785, ma, nonostante la somiglianza con alcuni ritratti dell’epoca, l’identificazione non può essere del tutto certa; è stato supposto anche che possa trattarsi del valletto di don Luis, Gregorio Ruiz de Arce, o di Estanislao de Lugo y Molino, il precettore di Luis María, il cui profilo egli richiama attraverso la tela. Queste due figure sono le uniche che mostrano cortese, seppure minima, attenzione al gioco delle carte dell’infante, mentre gli altri rimangono del tutto indifferenti.
L’uomo sghignazzante con un copricapo che sembra una benda è particolarmente difficile da identificare; l’ipotesi più recente riconduce a Francisco del Campo, segretario privato di María Teresa e fratello di Marcos del Campo, che nel marzo 1783 aveva sposato una delle cognate di Goya, María Matea Bayeu Subias. In effetti, il contatto iniziale di Goya con la coppia degli infanti potrebbe essere stato facilitato grazie a lui piuttosto che da Floridablanca. Francisco del Campo era alle dipendenze di don Luis fin dai primi anni ottanta e, in una lettera a Zapater, Goya lo descrive con parole che suggeriscono che occupasse un ruolo preminente nel palazzo: “Il capo è lui, e si dice che sia un uomo di grandi capacità”. Goya mostra questo personaggio mentre sfodera un sorriso sfolgorante e fissa lo spettatore come per comunicare la propria visione semplificata e plebea, ma viva, di una società in evidente decadenza, forse anche utile per rompere l’apparente seriosità della scena e offrire così l’unica nota di vitalità della rappresentazione. L’identità dell’austera e sfuggente figura in abito grigio accanto a lui, la cui espressione esprime un accenno di disprezzo, resta un mistero; si potrebbe trattare di uno degli altri pittori di corte, Alejandro de la Cruz o Gregorio Ferro, entrambi poco apprezzati da Goya.
La scena suscita una serie di domande. Perché don Luis, seduto al tavolino da gioco, sembra indifferente a quanto accade attorno a lui? quale è il significato delle espressioni e dei gesti delle figure maschili? quale ora è? Il dipinto è costellato di enigmi che gli conferiscono un’aura ossessiva e ipnotica. La candela sul tavolino da gioco, che incomprensibilmente sembra reggersi su due sole gambe, è l’unica fonte luminosa visibile; è possibile che, oltre a fornire luce, essa abbia un significato simbolico. L’infante possedeva infatti diversi dipinti di pittori caravaggeschi francesi dove le candele sono le uniche sorgenti luminose; Goya potrebbe aver voluto alludere a questo particolare gusto collezionistico. Inoltre, la candela potrebbe essere un simbolo di vanitas, allusione alla brevità della vita forse in linea con lo stato d’animo dell’infante, a causa della sua età relativamente avanzata, della salute cagionevole e della differenza anagrafica con la giovane moglie.
Anche il fatto che l’infante stia giocando a carte da solo è insolito; sta facendo un solitario in attesa che Goya inizi a dipingere oppure le carte hanno un significato simbolico? Le carte sono Spagnole; tre possono essere chiaramente identificate con l’Asso di Denari, il Cavallo di Bastoni e il Due di Bastoni. Nella pittura europea, il gioco delle carte spesso ha associazioni negative, allusive di pigrizia o dissipatezza; l’Asso di Denari, tuttavia, è la carta più forte del mazzo spagnolo e potrebbe essere stata intesa come un riferimento ad alcuni aspetti positivi della vita dell’infante, come la bella famiglia che si era fatto, l’Asso di Denari, inoltre, nei mazzi di carte del Settecento spagnolo quasi sempre reca al centro un ritratto del re di Spagna o un simbolo della monarchia; si potrebbe trattare di un riferimento criptico al sangue reale dell’infante? È anche possibile che egli si stia intrattenendo con un gioco di carte spagnolo noto come ‘Chinchón’, dal nome della città nei pressi di Madrid di cui don Luis portava il titolo di duca fino a quando il re suo fratello glielo aveva tolto.
Infine, sempre nella ricerca dei significati nascosti, la curiosa posizione delle mani dei due personaggi all’estrema destra potrebbe alludere a corruzione o delazione.
È quindi evidente che Goya ha inserito nel suo dipinto più di quanto l’occhio sia in grado di cogliere. Attento e critico, egli era certamente in grado di catturare l’atmosfera familiare della corte dell’infante esule. Facendo un passo indietro dalla composizione e osservandola nell’insieme ci si trova faccia a faccia con un’ampia gamma di espressioni: alcuni dei personaggi guardano fuori dal quadro, verso l’osservatore, mentre altri rivolgono lo sguardo alla giovane donna e al vecchio seduti al tavolo. Indubbiamente le circostanze in cui il dipinto venne concepito contribuirono a creare la sua particolare atmosfera; il pittore introduce nella sua composizione una tensione narrativa che sottende dialoghi muti fra i personaggi, il risultato è un esempio alquanto elaborato di conversation piece o tableau vivant visto raramente in Spagna. Questo senso di informalità nel palazzo dell’infante era stato colto da altri ospiti ad Arenas de San Pedro come il conte di Fernán Núñez, che commentava: “Sua Altezza viveva ad Arenas come un uomo semplice, e quando aveva ospiti a porgergli i loro omaggi, essi venivano invitati alla sua stessa tavola e si potevano rivolgere a lui e alla moglie senza i loro titoli”. Il dipinto di fatto esprime anche i nuovi tempi storici e la secolarizzazione della monarchia: non mostra la consueta elaborata architettura alle spalle degli effigiati e non rende esplicita la gerarchia fra i personaggi; Goya ha quindi dipinto la famiglia e il seguito di un principe di casa reale in un’ambientazione domestica senza le consuete formalità di corte, senza la pompa che tradizionalmente dominava nella ritrattistica aristocratica, mostra, invece, don Luis circondato dai suoi familiari e dai servitori in un contesto familiare. Questo approccio può riflettere le idee dell’Illuminismo che stavano lentamente guadagnando terreno in Spagna, in particolare fra l’aristocrazia e nei circoli intellettuali. Don Luis, grazie ai suoi interessi artistici e musicali, era un uomo del suo tempo, versato in letteratura e politica, e potrebbe aver chiesto a Goya di registrare la sua situazione nel modo più realistico possibile. Goya, per contro, dimostrerà sempre interesse nel rappresentare la società così come la vedeva. Alcuni anni prima della Rivoluzione francese, egli mette quindi in scena, senza distinzione di rango, principi e borghesi, balia e cameriere, amministratori e artisti, in una specie di commedia dell’arte, dove si mescola l’innocenza dei bambini, la delusione, la stanchezza, l’assoggettamento ormai privo di deferenza. Goya, in un angolo buio, più che un pittore, pare un fotografo di fronte ai personaggi in posa, ma, al tempo stesso, raggiunge una verità più intima, la sottile e insinuante consapevolezza di un mondo ormai in dissolvenza; si comprende come egli, col grande quadro conservato al Prado La famiglia di Carlos IV del 1800-1801, potrà giungere a un′interpretazione tanto drammatica, grottesca e antiretorica della regalità.
Il dipinto di Arenas è altamente significativo anche dal punto di vista tecnico e stilistico.
Don Luis e Goya condividevano l’interesse nello studio e nella riproduzione della somiglianza perfetta. Sappiamo che nel 1774 un inglese di nome Sykes mostrò all’infante nuovi metodi per realizzare “copie perfette”, e che l’amico di Goya Ceán Bermúdez, che aveva fatto pratica come pittore, indagò sull’uso da parte di Velázquez della camera oscura per catturare nelle sue opere un effetto di immediatezza e realismo; egli riteneva che l’artista avesse usato quel dispositivo per studiare “il digradare della luce e dell’ombra a una data distanza e il nitido contrasto in primo piano”. Non è documentato se Goya fosse a conoscenza di queste tecniche e se le abbia impiegate per creare le sue complesse composizioni, ma l’eventuale uso potrebbe spiegare la qualità istantanea di questo quadro che coglie i quattordici personaggi fermi come su un palcoscenico, irrigiditi sull’ultima battuta, prima che cali il sipario.
Usando rapidi tocchi a pennello, Goya dipinse in gran libertà su una preparazione rosso ocra, la stessa che usavano all’epoca pittori napoletani quali Bonito e Giaquinto che avevano lavorato per la corte spagnola, che lascia intravedere in diversi punti, in particolare dove desiderava creare ombre o ammorbidire i contorni; questa preparazione rossiccia è la stessa che il pittore stesso sta usando sulla tela raffigurata sulla sinistra nel dipinto, svelandoci come egli preparava le sue tele e rendendo visibile la sua tecnica all’osservatore.
Per quanto riguarda le influenze stilistiche che si colgono ne La famiglia dell’infante don Luis, Goya, probabilmente sulla scia delle teorizzazioni di Mengs, giunge a una notevole semplificazione formale, soprattutto nello sfondo, e a una gamma cromatica basata su pochi colori dalle tonalità severe, segnando così in quest’opera un momento di deciso cambiamento.
Per i ritratti presenti nel grande quadro, l’apparente mancanza di disegni preparatori suggerisce che Goya abbia lavorato nelle fasi finali basandosi su studi a olio individuali, come il profilo di don Luis o il ritratto frontale di María Teresa, che aveva dipinto l’anno precedente; lo stesso approccio adottato nel dipingere La famiglia di Carlos IV nel 1800, quando preparò bozzetti individuali per ogni figura prima di mettere mano alla composizione principale. È quindi fortemente verosimile che, sebbene basata su scene avvenute sotto i suoi occhi forse catturate in un blocco per schizzi, poi assemblati e andati perduti, Goya abbia lavorato alla sua composizione nel suo atelier senza avere i personaggi a posare per lui. Questo spiegherebbe l’illuminazione particolare e una certa rigidità nel quadro; la candela sul tavolo da gioco rappresenta l’unica fonte luminosa visibile, ma l’assenza di ombre sulle figure a parte Goya suggerisce la presenza di altre sorgenti luminose non visibili. Questo potrebbe essere spiegato dal fatto che ogni figura sia stata ricavata da un bozzetto individuale e così inserita nella composizione, cosicché nell’insieme ogni personaggio viene a disporre della sua propria sorgente di luce, senza gettare ombre. È possibile che i tocchi finali siano stati dati di sera, rendendo l’effetto di figure risplendenti nella sala oscura.
Goya potrebbe essere stato a conoscenza di altri ritratti di gruppo, come le conversation pieces di artisti inglesi del Settecento come William Hogarth o Joseph Wright of Derby. Gli effetti della luce e dell’ombra nella sua composizione suggeriscono infatti il dipinto tenebrista di Wright of Derby An Experiment on a Bird in the Air Pump (1768) noto nell’Europa continentale attraverso una mazzotinta di larga diffusione pubblicata nel 1769. Una mezzotinta tedesca di Johann Jacob Haid, che mostra un gioco delle carte in una stanza buia, è pure una fonte possibile. Per l’intima atmosfera familiare Goya potrebbe essersi rifatto a una stampa dal ritratto di gruppo di Benjamin West The Artist’s Family, in vendita a Madrid nel 1781, che mostra un gruppo di famiglia in un interno domestico con i personaggi raffigurati intenti in attività quotidiane; potrebbe anche avere trovato una fonte di ispirazione nel ritratto non terminato che Giandomenico Tiepolo fece alla propria famiglia attorno al 1760, pure dipinto su una preparazione rosso ocra, molto simile nello schema compositivo generale che include l’artista stesso abbozzato dal vero. Pompeo Batoni, il pittore più in voga nella Roma della seconda metà del Settecento e per questo incaricato dall’Accademia di Belle Arti di Parma, insieme a Domenico Corvi, quale supervisore dei partecipanti di stanza nell’urbe – fra i quali Goya nel 1771 – al concorso di pittura organizzato annualmente a Parma, appare il più probabile riferimento dello spagnolo per l’approccio alla ritrattistica e alle sue posture, in particolare, nel dipinto in esame, per la figura di María Teresa, che pare derivare dal Ritratto di Girolama Santacroce come Vanitas (circa 1760) dello stesso Batoni,per l’idea rivoluzionaria di ritrarre una dama della Casa reale spagnola in camicia da notte mentre si sottopone a cure di bellezza.
Tuttavia, il più evidente e il più prestigioso antecedente del dipinto di Goya è Las Meninas di Velázquez del 1656, che mostra, in atteggiamento informale, un gruppo di membri della famiglia e dei servitori di Filippo IV di Spagna, incluso il pittore stesso al lavoro su una grande tela mentre ritrae il re e la regina, che si vedono riflessi in uno specchio; Goya conosceva da vicino il dipinto di Velázquez e ne aveva tratto un accurato disegno e un’incisione nel 1778. I riferimenti a Las Meninas potrebbero essere stati intesi per compiacere don Luis, che ammirava moltissimo Velázquez, ma rivelano anche l’ambizione di Goya, dal momento che così facendo si presentava come il pittore di corte di don Luis proprio come Velázquez alla corte di Filippo IV. Lo studioso Fred Licht nota come Goya, pur avendo insistito a rammentarci il capolavoro di Velázquez, tuttavia sopprime il perno di Las Meninas, cioè lo specchio, che forniva la chiave di lettura del quadro, ipotizzando che lo specchio non sia stato soppresso da Goya ma spostato dalla parete di fondo alla parete davanti al gruppo della famiglia; secondo Licht, quindi, Goya non avrebbe dipinto una sua interpretazione personale della famiglia reale, ma solo quel che vedevano loro stessi.
Grazie alla protezione di don Luis, che gli aveva chiesto di fargli visita ad Arenas almeno una volta l’anno, Goya dovette aver pensato che le sue angustie finanziarie fossero terminate; ma don Luis morì il 7 agosto 1785 dopo alcuni mesi di malattia. Successivamente alla sua morte la sua famiglia venne dispersa; a María Teresa non fu permesso di vedere i suoi figli, le due figlie vennero mandate al convento di San Clemente, nei pressi di Toledo, mentre Luis María venne affidato al cardinale Lorenzana in preparazione di una carriera ecclesiastica. A María Teresa fu permesso di vivere con la sua famiglia d’origine a Saragozza, dove si trasferì con parte della collezione d’arte del marito e dove morì nel 1820. Come sappiamo, Goya resterà in contatto con i due bambini più grandi, una volta diventati adulti, ritraendoli in guise molto diverse, María Teresa come contessa di Chinchón e moglie del famigerato Godoy, Luis María come cardinale-arcivescovo di Toledo, almeno in questo erede del padre.
Stefano Roffi